Il virus influenzale dell’aviaria continua a mutare preoccupantemente. C’è possibilità di contagi su vasta scala tra gli esseri umani? Ecco cosa dicono gli esperti
L’influenza aviaria è una malattia infettiva, che colpisce nello specifico i volatili, portandoli, spesso, direttamente alla morte. Tra le varie tipologie di virus, quello potenzialmente più pericoloso della salute dell’essere umano è l’A/H5N1, che nel passato ha comportato picchi d’incidenza sul genere umano particolarmente preoccupanti, causando, in alcuni casi, anche dei decessi.
I focolai hanno avuto luogo soprattutto tra l’Asia e l’Africa, ma anche l’America Settentrionale e alcuni stati d’Europa non sono stati del tutto esenti dal problema. I rischi che vengono corsi principalmente dagli umani sono il contagio diretto, ossia venire infettati direttamente dall’animale malato, ma soprattutto le eventuali mutazioni del virus, costantemente osservate dagli esperti.
A seguito del contagio, la malattia impiega tra l’uno e i sette giorni prima di fare il suo esordio, vale a dire per il periodo d’incubazione. I sintomi variano in base ai soggetti coinvolti, ma vengono generalizzati in tosse, mal di gola, febbre e sintomi influenzali, debolezza e dolori muscolari. Non è esclusa, però, la possibilità che si possano riscontrare anche disordini del tratto digestivo, che possono portare a nausea, diarrea o vomito.
Nei casi più gravi, gli individui coinvolti potrebbero andare in contro a complicazioni respiratorie, polmoniti ed insufficienza respiratoria, disfunzione renale, problemi cardiaci, ma anche alterazioni neurologiche, strettamente correlate agli effetti che il virus può sortire sul cervello. Per quanto il tasso di contagio mantenga delle percentuali non esageratamente allarmanti, sono molti i soggetti nei quali l’influenza aviaria ha causato il decesso.
Come si trasmette?
La trasmissione diretta del virus può avvenire attraverso il contatto con uccelli infetti o con i loro escrementi. L’infezione su larga scala della specie umana resta ancora una possibilità remota, ma l’elemento che desta principale preoccupazione è il fatto che il virus, di contagio in contagio, possa mutare fino a raggiungere forma maggiormente complessa da debellare. Già nel 2005, con la diffusione del sottotipo H5N1, il mondo visse un periodo di profondo timore. All’epoca per la maggior parte dei contagiati venne verificato che la trasmissione era avvenuta proprio a seguito dell’infezione da parte dei pennuti malati.
La maggior sorveglianza sanitaria negli allevamenti, l’isolamento immediato e il successivo abbattimento che si applica ai gruppi di animali infetti, la vaccinazione di un numero di specie sempre maggiori, sono alcune delle misure di prevenzione basilari che sono state adottate negli ultimi anni, al fine di scongiurare la possibilità che il virus possa diventare un’ulteriore minaccia per l’umanità.
Il mondo resta sul piede d’allarme?
Il virus ha mostrato, proprio negli ultimi tempi, una capacità sempre maggiore di diffondersi tra varie specie di mammiferi, non restando più circoscritto unicamente ai volatili. Questo è l’elemento che desta sicuramente maggior preoccupazione, costringendo gli esperti a restare continuamente in allerta. Ciò nonostante, bisogna precisare che il virus dell’aviaria A (ossia proprio il H5N1) non ha in alcun modo raggiunto una forma in grado di infettare gravemente più esseri umani.
Non mentiamoci, i casi riguardanti l’uomo ci sono eccome, in forma meno grave o angosciante rispetto al 2005, ma la percentuale di contagio non è sicuramente rasente lo zero. Negli Stati Uniti d’America in particolare, un gruppo di bovini da latte è stato infettato dall’influenza, scaturendo casi isolati, senza masse o picchi significativi, di contaminazione tra esseri umani. Il pericolo non appare così grave, ma gli esperti stanno cominciando a mettere in conto ogni possibile risvolto, prendendo in esame anche gli scenari meno rassicuranti.