Addio microplastiche, la rivoluzionaria scoperta nel Sol levante: pronti anche in Italia?

Il problema delle microplastiche negli oceani appare più disperato che mai. Dal Giappone potrebbe arrivare la svolta nel campo della sostenibilità

Le microplastiche sono minuscoli pezzi di materiale plastico che vengono rilasciate nell’ambiente circostanze sottoforma di particelle millesimali. Si dividono in due categorie fondamentali: le microplastiche primarie, che costituiscono fino al 30% di quelle correntemente disperse nei mari, il cui principale esempio sono i residui dell’abrasione degli pneumatici dei veicoli che circolano sulle strade.

Le microplastiche secondarie, invece, rappresentano una percentuale compresa tra il 70 e l’80% dei residui presenti negli oceani, essendo, dunque, localizzate in maniera di gran lunga maggiorata rispetto alle primarie. Derivano dalla degradazione di reti da pesca, bottiglie, buste e confezioni di plastica.

Negli ultimi anni le quantità di microplastiche sparpagliate nelle grandi masse d’acqua ha subito uno spaventoso aumento. Secondo le stime dell’ONU sarebbero oltre 51.000 miliardi le particelle nei mari. La loro massiccia presenza causa gravi danni all’ecosistema marittimo: gli animali che abitano le acque rischiano costantemente di ingerirle, il che si riflette direttamente sul cibo che arriva nelle nostre tavole, che può contenere le stesse microplastiche.

L’inghiottimento accidentale da parte dell’uomo è già stato accertato, in quanto rilevata la presenza delle plastiche in alcune feci umane.  Gli effetti sul nostro corpo non sono ancora del tutto chiariti, ma se consideriamo che le particelle possono contenere additivi e altre sostanze chimiche, indubbiamente dannose per gli esseri umani e per gli animali.

La plastica biodegradabile: un grande passo verso la sostenibilità?

La grande innovazione arriva dall’Oriente, più precisamente dal Giappone, dove un gruppo di ricercatori ha dato origine ad una nuova e particolare tipologia di bioplastica. Si tratta di un materiale biodegradabile, il cui grande vantaggio è il fatto che si decomponga nell’acqua del mare, quasi come se si sciogliesse, non rilasciando nelle zone circostanti detriti, frammenti o microplastiche, ma risolvendosi senza lasciare traccia di se.

La nuova sostanza può essere utilizzata nella produzione di oggetti in plastica rigida particolarmente robusti, ad esempio le componenti delle automobili o di altri mezzi di trasporto, ma può essere impiegata anche nella fabbricazione di utensili maggiormente elastici e flessibili, come le classiche posate in plastica, che, una volta buttate, non impiegheranno decenni o più prima di decomporsi.

Microplastiche (Depositphotos)
Microplastiche (Depositphotos foto) – www.sardegnaoggi.it

Le criticità e i primi esperimenti

I principali elementi a destare preoccupazione sono i costi che si renderanno necessari per la produzione e la diffusione a carattere mondiale. Per fabbricare la plastica biodegradabile non esiste un concreto piano volto a renderla economicamente sostenibile e gli esperti del settore sono ancora alla ricerca di uno stratagemma per far diminuire i prezzi. La sfida risiede nel fatto di incrementare lo sviluppo di prodotti resistenti ed, al contempo, sostenibili, necessari soprattutto per determinati settori.

E’ bene precisarlo, si tratta ancora di una sperimentazione, ma le prime prove correlate a questo nuovo tipo di plastica hanno prodotto esattamente gli effetti sperati. Alcuni fogli di bioplastica sono stati interrati e si sono naturalmente decomposti, esattamente come da programma, non rilasciando microplastiche dannose ma, al contrario, sostanze nutrienti per il suolo. Ci vorranno anni prima di assistere all’effettiva diffusione delle nuove plastiche biodegradabili, ma se questo dovesse accadere si andrebbe incontro ad un nuovo fondamentale passo nella rivoluzione sostenibile mondiale.