C’è il rischio di essere licenziati se si pubblicano contenuti controversi sul web? Il datore di lavoro può venirlo a scoprire? Ecco tutto ciò che devi sapere
L’avvento e la diffusione crescente dei social networks alla quale abbiamo assistito nell’ultimo decennio, ha segnato una nuova era nell’ambito della comunicazione digitale. Rappresentano, infatti, uno strumento che può rivelarsi assolutamente utile per promuovere un proprio progetto, un evento, per diffondere un brand o un prodotto. Se usati nel modo giusto, i social possono davvero giocare a nostro vantaggio.
Tuttavia, l’errore in cui spesso si potrebbe incorrere, è di utilizzare i social senza tener conto delle conseguenze che potremmo scaturire pubblicando un determinato post, scrivendo un determinato commento o inviando un determinato messaggio. Se un dipendente mantiene un comportamento, diciamo così, non particolarmente esemplare durante la sua attività sui network, l’azienda che lo ha assunto e lo stipendia potrebbe ugualmente risentire del suo ‘scivolone’.
Il dipendente, perciò, è sempre tenuto a mantenere la testa sulle spalle, riflettendo attentamente sulle azioni che ha intenzione di compiere mentre naviga sui social, perché anche ciò che avviene all’infuori dell’orario lavorativo, può causare danni irreparabili alla posizione professionale sia dell’utente, sia all’affidabilità dell’azienda.
E quando sulla home di Facebook o Instagram i nostri colleghi o il nostro datore di lavoro dovesse riscontrare immagini o commenti equivocabili, le conseguenze potrebbero assumere un volume mastodontico. Dunque, la principale raccomandazione è di tenere gli occhi sempre aperti e soprattutto rifletti a lungo, anche cinque o dieci volte. prima di premere il tasto ‘pubblica’.
Quello che avviene durante il tempo libero non dovrebbe interessare il datore di lavoro, ma la situazione, chiaramente, cambia nel momento in cui i post o i commenti infelici che vengono pubblicati mirano direttamente ad offendere o a screditare proprio questa figura professionale. Quando si diffondono pensieri online che si tramutano in messaggi, che questo avvenga sul vostro profilo o su quello di altre persone, è impossibile che ciò che avete condiviso rimanga privato. Si tratta di un aspetto inevitabile, che deve essere per forza considerato.
Va bene la libertà d’espressione, ma nel caso in cui la vittima dei nostri scherni o improperi sia proprio il soggetto sopracitato, entrerà in gioco il dovere di fiducia. Se si verificasse una situazione simile, si rivelerebbe necessario anche l‘intervento del tribunale, che potrebbe optare per il licenziamento diretto del dipendente che ha compiuto le affermazioni, in quanto violatore del dovere di fiducia e autore di un gesto volto a compromettere la limpida collaborazione tra i membri della stessa azienda.
C’è una precisazione doverosa da appuntare. Alcuni tribunali in tutta Italia, e non solo, hanno stabilito che i contenuti di carattere strettamente privato, come i messaggi crittografati della chat di WhatsApp, non possano essere in alcun modo utilizzati come prova contro il dipendente accusato. Se proprio non si riesce a fare a meno di dover scrivere d’impulso tutto quello che può passare per la mente, bisognerebbe almeno farlo con criterio, mantenendo i vostri pensieri, per l’appunto, all’interno di una conversazione privata o ‘chiudendo’ il vostro profilo social, ossia limitando l’accesso ai contenuti che postate solo ad un numero limitato di utenti.
La prassi più corretta sarebbe un’altra: evitare di pubblicare il primo pensiero a caldo che circola nella nostra mente, perché la libertà d’espressione termina nel momento in cui si va a ledere la privacy, gli usi e i costumi altrui. In altre parole, se volete davvero sventare qualsiasi tipo di controversa situazione, partecipate ai dibattiti via social con moderazione, evitando di tirare in mezzo terzi, perché chi più di tutto risentirà dell’azzardata scelta, sarete proprio voi.
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