I dati Istat parlano chiaro: le donne tra i 15 e i 24 anni sono tra le più a rischio di molestie sul lavoro. Che ruolo ha la società?
Oltre due milioni di donne hanno subito molestie sul luogo di lavoro e a mettere in luce questo importante e grave numero è stata Istat. Purtroppo solo il 2,3% delle vittime denuncia gli episodi, temendo di perdere il posto di lavoro o di non venire tutelata.
Il fatto che le molestie vengano vissute quotidianamente da milioni di donne deve farci riflettere tanto quanto i motivi che spingono le vittime a non denunciare, perché entrambi questi problemi hanno un comune denominatore: la società in cui viviamo e i preconcetti su cui si basa. Ma andiamo per gradi e approfondiamo quanto emerso dal report Istat.
Report Istat 2022-2023: Le molestie: vittime e contesto
Innanzitutto bisogna ricordare cosa intendiamo per molestia: sguardi inappropriati, allusioni, offese, ma anche aggressioni fisiche più o meno velate. Le molestie comprendono anche contatti fugaci quando non si è visti da nessuno, pressioni psicologiche, stalking e tutta la concatenazione di comportamenti verbali o non verbali che possono indurre una persona a sentirsi in trappola e a disagio.
Ecco cosa riportano i numeri raccolti da Istat:
- Le vittime più colpite sono le donne tra i 15 e 24 anni, le quali nel 21,2% dei casi hanno dichiarato di essere state vittime di colleghi maschi, di pazienti o di clienti.
- Anche gli uomini subiscono molestie, nel 26,4% dei casi da parte di colleghe, nel 20,6% da colleghi dello stesso sesso.
- La frequenza di abusi sulle donne è superiore a quella sugli uomini, infatti l’80% delle donne ammette di aver subito molestie ripetute nell’arco di 12 mesi. La percentuale scende a 60 nello stesso intervallo di tempo per gli uomini.
- Solo il 2,3 % delle donne denuncia o chiede aiuto a enti di supporto o consulenti.
- 65.000 donne hanno ammesso di aver subito ricatti sessuali per poter ottenere un avanzamento di carriera.
- Le molestie sono presenti anche in altri ambiti al di fuori del lavoro, arrivando ad un totale di 1.311.000 donne vittima di molestie.
Questi numeri fanno riflettere su quanto il contesto lavorativo possa nascondere molestatori o molestatrici che spesso sfruttano la loro posizione di potere a scapito di colleghi o dipendenti. Il motivo principale delle molestie sessuali sul lavoro non sembra essere quello di riuscire nell’intento di violentare o aggredire sessualmente, bensì quello di sminuire e denigrare la donna in quanto tale.
Il fatto che ad oggi le donne abbiano più possibilità di chiedere aiuto, anche solo ad un consulente aziendale, è sicuramene un vantaggio, ma sembra non bastare considerato il basso numero di denunce.
Allora viene spontaneo chiedersi: perché così poche donne denunciano di aver ricevuto molestie sul lavoro?
L’omertà per paura del giudizio
I motivi che spingono molte donne a tacere di fronte a molestie anche gravi e quotidiane, si basano sul senso di vergogna e di impotenza che le vittime provano in merito alla situazione che stanno vivendo.
Da un lato pensano di non potersi opporre, soprattutto quando a perpetrare molestie o violenze psicologiche e fisiche è un superiore, temendo di perdere il proprio posto di lavoro. Dall’altro provano vergogna, arrivando a pensare di aver dato loro stesse un’idea sbagliata al carnefice, interiorizzando il pregiudizio negativo che regna sovrano ancora oggi nella nostra società.
Basti pensare a quante volte vi sarà capitato di sentire questa frase: “Chissà come ci è arrivata lì” riferito ad una donna che è riuscita a fare carriera.
Nel 2024 ancora esiste la credenza che una donna non abbia meriti per il suo successo e che se arriva a costruirsi una carriera è solo per aver fatto “favori sessuali” agli uomini giusti.
Proprio a causa di questo tipo di mentalità molte donne non solo non riescono a fare carriera (proprio perché questi ricatti sessuali esistono davvero), ma soprattuto temono di venire etichettate colpevoli qualora provassero a chiedere aiuto.
Le motivazioni più frequenti che portano le donne a non denunciare sono la sottostima della gravità dell’episodio, la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine e la sensazione di non poter agire.
L’unione fa la forza
Proprio perché non sempre chiedere aiuto è semplice, un buon modo per riuscire ad uscire da questo tunnel è parlarne con altre colleghe. Sapere di non essere sola, di avere qualcuno su cui fare affidamento e che potrebbe testimoniare quanto state vivendo è importante.
Cambiare lavoro è sicuramente meglio che continuare a subire molestie ma sarebbe totalmente ingiusto lasciare un posto di lavoro che meritate a causa di una persona che, sicuramente, continuerà a fare ciò che ha già fatto a voi a qualcun altro.
Denunciare è un modo per tutelare sé stesse e molte altre giovani donne che in futuro potrebbero trovarsi esattamente al vostro posto.
Nessuna legge contro le molestie sessuali in Italia
Difendersi dalle molestie sul lavoro in Italia è tutt’altro che semplice anche perché non esiste una legge che tuteli le vittime.
Il progetto di legge sulle “Norme penali e processuali contro le molestie sessuali”, presentato in Parlamento nel 1996, giace ancora dimenticato. Si tratta di un vuoto normativo che fa la differenza, soprattutto a livello psicologico nelle vittime che non si sentono nella condizione di poter fare affidamento sull’autorità o essere tutelate a livello di legge.
La situazione in Italia non è delle migliori quando si tratta di molestie sul lavoro. L’unico modo per contrastare questo fenomeno è fare sentire le donne ascoltate e dare loro ogni tipo di strumento per poter chiedere aiuto: da uno sportello di ascolto aziendale, a una linea dedicata.
Ma soprattuto, grattare via i pregiudizi sbagliati e nocivi che con troppa leggerezza vengono appiccicati addosso a chi non lo merita. Uomo o donna che sia.
Chiudiamo con uno spunto di riflessione preso da un discorso di Debora Moretti, presidente di Fondazione Libellula:
“Prima di interrogarci se le molestie siano tante o poche, prima di buttarci in frettolose considerazioni sul perché le vittime non denunciano, dobbiamo chiederci: cosa stiamo facendo per creare un clima di fiducia e ascolto libero da pregiudizi?”
Forse questa domanda dovremmo farcela tutti.