Le condizioni sociali ed economiche di partenza hanno ancora un peso rilevante sul percorso accademico e possono causare dei cicli viziosi difficili da spezzare
In un mondo ideale, il livello di istruzione dei genitori non dovrebbe avere alcun impatto sul percorso accademico dei figli, ma purtroppo nella realtà questo fattore è alla base di diseguaglianze difficili da colmare. Da una recente indagine dell’Istat sulle condizioni dei minori è emerso che oltre un terzo dei figli di genitori non diplomati vive una condizione di deprivazione. La quota scende a uno su dieci se almeno uno dei genitori è diplomato e crolla al 3% tra i figli dei laureati.
Scendendo più nello specifico, il 33,9% dei minori di 16 con genitori che hanno al massimo la licenza media affronta una condizione di deprivazione sociale e materiale. Solo il 3% dei minori con almeno un genitore laureato si trova nella stessa situazione. In seguito alla pandemia di Covid questa tendenza si è rafforzata, passando dal 30% del 2017 all’attuale 33,9%. Il dato è rimasto stabile tra i figli dei diplomati: dall’11,2% nel periodo pre-Covid al 10,4% registrato nel 2021.
Questi dati indicano l’esistenza di una correlazione tra un basso grado di istruzione e una peggior condizione economica e sociale, che si traduce in maggiori difficoltà per i figli, portando spesso a degli esiti educativi meno favorevoli rispetto ai coetanei che vivono in una condizione più agiata. Ciò accade soprattutto quando la famiglia ha poche opportunità economiche, sociali e culturali da offrire ai propri figli.
Le analisi condotte dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) indicano che i figli dei genitori laureati hanno maggiori probabilità di conseguire la laurea. Come si può notare, le probabilità che si generi un circolo vizioso (noto in letteratura come trappola della povertà educativa) sono elevate e non esiste una soluzione semplice per impedire che ciò accada.
Il modo migliore per riuscirsi sarebbe offrire a tutti i minori l’accesso a un’istruzione di qualità elevata, a prescindere dalle condizioni economiche della famiglia. Inoltre, anche rafforzare le associazioni e le istituzioni presenti sul territorio che offrono opportunità culturali, sportive, educative e sociali aiuterebbe a colmare il divario, soprattutto se si arrivasse al punto da poter garantire a ogni giovane le stesse possibilità.
In Italia la trappola della povertà educativa è più comune in alcune aree del Paese rispetto ad altre. Nella Penisola quasi tre residenti su quattro di età compresa tra i 25 e i 49 anni hanno il diploma o la laurea, ma questa quota non è stabile ovunque: oscilla dall’83,2% del Trentino-Aldo Adige al 64,8% della Sicilia. La percentuale si avvicina all’80% anche nel Lazio (79,9%), in Friuli Venezia Giulia (79,8%), in Umbria (79,6%) e in Abruzzo (78,6%). Tra le regioni meno “virtuose” ci sono, invece, la Sardegna (65,9%), la Puglia (67,6%) e la Campania (67,8%).
Il capoluogo nel quale la maggior percentuale di residenti tra i 25 e i 49 anni ha il diploma o la laurea è Siena (90%). Pure a L’Aquila e a Teramo ci sono delle quote superiori all’85%. Nel mezzogiorno, invece, è presente il maggior numero di capoluoghi con minor istruzione (16 su 20).
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