Terremoto dell’Aquila, una nuova sentenza colpevolizza gli studenti che hanno perso la vita

Dopo 15 anni dal terremoto che devastò L’Aquila, una nuova sentenza della Corte d’Appello infligge un duro colpo ai familiari delle vittime

Nella vicenda giudiziaria riguardante le vittime del terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila, la Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado del 2022, respingendo la richiesta di risarcimento presentata dai familiari delle vittime.

Sette giovani persero la vita nel crollo dell’edificio situato in via Gabriele D’Annunzio 14, nel centro storico della città. Questa zona fu una delle più devastate dal sisma del 6 aprile 2009, che causò in totale tredici vittime in quell’area specifica.

Terremoto dell’Aquila, nuova sentenza colpevolizza i sette studenti che hanno perso la vita

I sette studenti deceduti nel crollo dell’edificio erano giovani promettenti, ciascuno con i propri sogni e ambizioni interrotti tragicamente dal terremoto. Facevano parte di una comunità studentesca vivace e attiva nel cuore storico de L’Aquila, una città nota per la sua università e la ricca vita culturale.

Questi giovani erano probabilmente attratti dalla bellezza e dalla storia della città, che offre un ambiente stimolante per gli studenti universitari. La loro perdita ha colpito profondamente non solo le loro famiglie e amici, ma anche l’intera comunità aquilana, che ha dovuto affrontare le conseguenze devastanti di un evento naturale di tale portata. E adesso per i familiari ci sarebbe anche la beffa del mancato risarcimento da parte dello Stato.

Terremoto dell'Aquila, una nuova sentenza colpevolizza gli studenti che hanno perso la vita
Terremoto dell’Aquila, una nuova sentenza colpevolizza gli studenti che hanno perso la vita – Wikimedia Commons @enpasedecentrale – Sardegnaoggi.it

 

La sentenza di secondo grado della Corte d’Appello ha segnato un punto cruciale nella vicenda legale relativa ai giovani studenti morti nel terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila. Contrariamente alla diffusa percezione di responsabilità delle istituzioni per informazioni fuorvianti, i giudici hanno stabilito che le vittime non sono decedute a causa di tali informazioni, ma per una decisione giudicata “incauta” di rimanere nelle proprie abitazioni.

La Corte ha sottolineato che non ci sono prove che gli esperti, riuniti il 31 marzo, abbiano intenzionalmente tranquillizzato la popolazione, smentendo così l’ipotesi di una volontaria minimizzazione dei rischi sismici. Questo verdetto ha consolidato la posizione delle istituzioni accusate, inclusa la presidenza del Consiglio dei ministri, già esonerata dal giudice di primo grado, decisione ora confermata anche in Appello.

Di conseguenza, i familiari delle vittime non solo non otterranno alcun risarcimento, ma dovranno anche pagare le spese legali, pari a circa 15mila euro. Questa sentenza della Corte d’Appello ha quindi concluso definitivamente che le istituzioni non possono essere ritenute responsabili per la morte dei giovani studenti, che hanno tragicamente perso la vita in un evento che ha profondamente colpito la comunità aquilana.

Questa decisione della Corte d’Appello ha diverse conseguenze significative:

  • Impatto sulle famiglie delle vittime: le famiglie dei sette giovani studenti deceduti nel terremoto non riceveranno alcun risarcimento per il danno subito. Inoltre, dovranno sostenere le spese legali del processo, aggravando ulteriormente il loro dolore e le difficoltà economiche derivanti da questa tragica perdita.
  • Implicazioni legali: la sentenza crea un precedente significativo sulla responsabilità delle istituzioni in emergenze e calamità naturali. La Corte ha escluso la responsabilità delle autorità per le morti dei giovani studenti, argomentando che la loro scelta di restare negli alloggi era stata “incauta” e non influenzata da informazioni fuorvianti intenzionalmente diffuse dalle istituzioni.
  • Impatto sulla percezione pubblica: la decisione può modificare la percezione pubblica sulla gestione delle emergenze da parte delle istituzioni. Da un lato, afferma che le istituzioni non sono penalmente o civilmente responsabili in certe situazioni; dall’altro, potrebbe suscitare dibattiti sull’etica della comunicazione in tempi di crisi e sul ruolo della leadership nel gestire l’informazione pubblica durante eventi catastrofici.

“Mi è arrivata la sentenza a casa, mi è arrivata per raccomandata, forse il giudice non ha avuto il cuore di guardarmi in faccia mentre la leggeva“, così afferma Sergio Bianchi, padre di Nicola, 22 anni che studiava biotecnologia all’università, al Corriere della Sera, dopo che i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila hanno ritenuto lui e altri 6 studenti morti sotto le macerie del sisma del 6 aprile 2009 colpevoli di aver assunto una condotta incauta. Rimasero a casa, quella notte, quando alle 3.32 venne giù la città.

“Sa cosa diceva mio nonno Tommaso che faceva il contadino? Picchiare qualcuno è reato, ma quando ci vuole ci vuole. I giudici hanno concluso che non abbiamo dimostrato il nesso causale tra la morte dei sette ragazzi e le rassicurazioni date in quei giorni da parte della Commissione Grandi Rischi. Mi ricordo la frase di uno degli scienziati rivolto alla popolazione: “Dormite tranquilli, non c’è alcun pericolo e bevetevi un bicchiere di Montepulciano…”. Sono furibondo”.

In quei giorni racconta Bianchi “c’era lo sciame sismico e io parlavo spesso al telefono con lui, gli consigliavo di andarsene, ma lui mi diceva sempre: “Tranquillo papà, devo fare un esame e poi sono già venuti gli scienziati a L’Aquila e ci hanno detto di stare tranquilli”. Ma Nicola non era affatto tranquillo, tant’è che rimase a dormire a casa insieme ai suoi 4 amici con cui condivideva una casa in via D’Annunzio 14.

“L’edificio di quattro piani venne giù, 13 morti. In casa con mio figlio sono morti anche Matteo e Carmelina. Due dei ragazzi invece si sono salvati, li hanno recuperati i vigili del fuoco 8 ore dopo sotto le macerie. Sono andati a testimoniare, un anno e mezzo dopo, ma il pm ha concluso che dopo tutto quel tempo i ricordi non erano vivi. Anche la mia deposizione è stata dichiarata non valida, perché io non vivevo a L’Aquila, non ero lì. Dunque inattendibile”.

Sergio Bianchi racconta che anche la fidanzata di Nicola, Liviana, andò a testimoniare, nonostante per sua fortuna quella sera non rientrò e rimase a Teramo, sua città, a dormire. Dunque nessun risarcimento e anzi, la Corte d’Appello ha condannato le famiglie a pagare le spese legali.

Bianchi conclude: “Si, nessun risarcimento e sono costretto a pagare per il primo grado 11 mila euro e per l’appello 13 mila e 700. La nostra associazione si chiama Avus, associazione vittime universitarie del sisma 6 aprile 2009, all’inizio del processo eravamo 13 famiglie, ora ne sono rimaste 7, le altre si sono arrese. Non è facile andare avanti quando la giustizia funziona in questo modo. Io però sono convinto di una cosa: fui uno tra i primi, dopo il terremoto, a denunciare la Commissione Grandi Rischi. Con questa sentenza, ora, me l’hanno fatta pagare”.

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