Le elezioni presidenziali in Iran si terranno venerdì 28 giugno, con un anno di anticipo rispetto al previsto, a seguito della morte del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero il mese scorso. Questo evento cruciale arriva in un momento di grande instabilità interna, caratterizzata da un crescente malcontento popolare, apatia degli elettori e turbolenze regionali dovute alla guerra tra Israele e Hamas. Il Consiglio dei Guardiani, organismo dominato dagli ultraconservatori incaricato di selezionare i candidati idonei, ha approvato solo 6 dei 80 registratisi.
La maggior parte di questi candidati appartiene al fronte conservatore con posizioni fortemente anti-occidentali, mentre il campo riformista è rappresentato da un solo candidato, il parlamentare Masoud Pezeshkian. Circa metà degli aspiranti presidenti sono stati sanzionati dai governi occidentali. Le donne e diversi importanti moderati e riformisti, tra cui l’ex presidente del Parlamento Ali Larijani e l’ex primo vicepresidente Eshaq Jahangiri, sono stati esclusi dalla corsa.
Tra i candidati conservatori spicca Mohammad Bagher Qalibaf. A 62 anni, è un ex sindaco di Teheran e ha stretti legami con il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, cosa che gli consente di intercettare anche il voto centrista. Qalibaf è considerato il favorito per la vittoria finale, grazie ai suoi stretti legami con il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione e il sostegno dei centristi. Durante la sua carriera, Qalibaf è stato coinvolto in diversi scandali di corruzione e si è vantato di aver usato metodi duri contro i manifestanti. È noto per aver picchiato i manifestanti con bastoni di legno nel 1999 e per aver ordinato di sparare sui dimostranti durante le proteste del 2003 nelle università.
Un altro candidato di spicco del campo conservatore è Said Jalili, 58 anni, ex segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza e capo negoziatore sul nucleare. Jalili è un ultraconservatore opposto ai negoziati per ripristinare l’accordo nucleare del 2015 e soprannominato “martire vivente” per aver perso una gamba durante la guerra Iran-Iraq. Considerato uno dei candidati più oltranzisti, è uno dei favoriti alla presidenza. Nato a Mashhad, come Khamenei, ha conseguito un dottorato di ricerca all’Università Imam Sadegh, un importante centro ideologico del regime. Jalili è membro del Consiglio per il discernimento, principale organo consultivo della Guida Suprema, e conta sull’appoggio di alcuni dei più stretti collaboratori di Raisi.
Alireza Zakani, 58 anni, è l’attuale sindaco di Teheran e un ex parlamentare noto per la sua retorica aggressiva e per aver condotto una campagna di repressione per imporre l’hijab. Conosciuto come il “carro armato rivoluzionario”, Zakani è soggetto a sanzioni per violazioni dei diritti umani. Ha cercato di candidarsi nelle elezioni del 2013, senza successo, e ha partecipato alle ultime presidenziali del 2021. Zakani è stato uno dei principali critici dei negoziati sul programma nucleare iraniano e ha utilizzato il suo mandato da sindaco per consolidare risorse finanziarie e indipendenza politica.
Amir Hossein Ghazizadeh Hashemi, 53 anni, è un medico ed ex membro del Parlamento, nonché ex primo vicepresidente. Esponente della destra oltranzista, si è candidato senza successo nel 2021 e attualmente è capo della Fondazione per gli affari dei martiri e dei veterani. Questa fondazione parastatale è soggetta a sanzioni per aver indirizzato risorse finanziarie verso organizzazioni come Hezbollah.
Mostafa Pourmohammadi, 64 anni, è l’ex ministro della Giustizia ed è stato membro del “Comitato della morte” responsabile delle esecuzioni di prigionieri politici negli anni ’80. Considerato il candidato con meno chance di vittoria, Pourmohammadi ha un notevole pedigree nell’apparato governativo iraniano. Ha ricoperto vari ruoli nell’amministrazione, dalla burocrazia all’ufficio di Khamenei, passando per la magistratura e l’esecutivo.
Il campo riformista è rappresentato dall’unico candidato riformista, Masoud Pezeshkian, 70 anni, parlamentare ed ex ministro della Sanità. Di origine azera, Pezeshkian rappresenta anche la minoranza azera in Iran. È critico del governo per la gestione delle proteste del 2022 e sostenitore dell’accordo nucleare (JCPOA). Ha promesso di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti e ha nominato l’ex ministro degli Esteri Javad Zarif come suo consigliere. Pezeshkian ha espresso apertamente critiche alla mancanza di trasparenza del governo e si è opposto alla polizia morale, pur senza proporre cambiamenti radicali. Ha il supporto di figure influenti come l’ex presidente riformista Mohammad Khatami e uno dei leader dell’Onda Verde, Mehdi Karroubi.
Le elezioni si svolgono in un clima di forte instabilità e malcontento popolare. La crisi economica perenne e la feroce repressione del dissenso hanno alimentato una disillusione diffusa tra gli elettori. La partecipazione alle urne è stata storicamente bassa, con il record negativo del 48,8% nelle ultime presidenziali del 2021. In un sistema come quello iraniano, l’affluenza è un importante indicatore di legittimazione del potere. La Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, ha sollecitato una forte partecipazione, mentre figure come l’attivista in carcere Narges Mohammadi hanno lanciato appelli al boicottaggio delle “elezioni illegali”.
I candidati hanno partecipato a dibattiti televisivi, impegnandosi a risolvere le sfide economiche del Paese e, in alcuni casi, criticando il governo. Tuttavia, molte di queste critiche sono viste dagli osservatori come tentativi di far apparire la consultazione più libera di quanto non sia in realtà, al fine di portare più elettori alle urne. La gestione dei media è stata strettamente controllata, con l’arresto di giornalisti come Yashar Soltani e Saba Azarpeik, quest’ultima recentemente vittima di un aborto spontaneo dopo un’udienza di nove ore. Questo controllo riflette le tensioni interne al regime, preoccupato per la stabilità interna e la percezione internazionale.
L’elezione del nuovo presidente offrirà alla leadership iraniana l’opportunità di dimostrare la sua capacità di gestire situazioni di crisi senza destabilizzare il Paese. Tuttavia, la forte apatia degli elettori e il crescente sentimento antigovernativo rappresentano sfide significative. Se Pezeshkian riuscirà a mobilitare l’elettorato riformista, potrebbe portare Qalibaf al ballottaggio del 5 luglio. In ogni caso, queste elezioni segneranno un momento cruciale per l’Iran, sia per la sua politica interna che per le sue relazioni internazionali.
La tensione elettorale è acuita dalla situazione economica disastrosa che affligge il Paese. L’inflazione galoppante, la disoccupazione elevata e la svalutazione della moneta hanno reso la vita quotidiana degli iraniani sempre più difficile. Le sanzioni internazionali hanno ulteriormente aggravato la situazione, limitando le possibilità di crescita economica e causando una carenza di beni essenziali. I candidati conservatori e riformisti hanno promesso soluzioni a questi problemi, ma gli elettori sono scettici sulla capacità effettiva di qualsiasi governo di migliorare la situazione.
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