Olimpiadi: l’atleta Kimia Yousofi e la condizione delle donne in Afghanistan

Dopo aver partecipato per i 100 metri nei “round preliminari”, Kimia Yousofi ha mostrato un foglio con scritto: “Istruzione, sport, i nostri diritti”

L’afghana Kimia Yousofi è arrivata ultima nelle qualificazioni dei 100 metri femminili, correndo in 13”42. Tuttavia, il suo obiettivo è stato raggiunto molto prima di tagliare il traguardo.

Subito dopo la gara, si è tolta il pettorale e ha mostrato al pubblico il vero motivo per cui è arrivata a Parigi: “Istruzione, sport, i nostri diritti”, un messaggio che ha voluto lanciare a tutto il mondo, accompagnato dai colori della bandiera afghana, che ha sventolato con orgoglio durante la cerimonia d’apertura, come aveva già fatto a Tokyo.

Ai giornalisti in zona mista, ha aggiunto: “Ho un messaggio per le ragazze afghane: non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi. Cercate le opportunità e coglietele”.

Olimpiadi: l’atleta Kimia Yousofi e il messaggio sulle condizioni delle donne in Afghanistan

Sul battello che li ha portati lungo la Senna erano in sei: tre uomini e tre donne, scelti dal Comitato Olimpico afghano che opera all’estero.

Tuttavia, le autorità politiche non hanno riconosciuto Kimia Yousofi e le due colleghe donne, dichiarando che “solo in tre rappresentano l’Afghanistan”, come ribadito da Atal Mashwani, portavoce del governo talebano per lo sport, riferendosi chiaramente ai tre uomini.

Nonostante si temessero possibili tensioni all’interno della delegazione, Kimia Yousofi ha assicurato che i suoi compagni di squadra maschi l’hanno sostenuta fin dall’inizio: “Le condizioni sono terribili per molte persone nel nostro Paese. I problemi per gli uomini sono minori, ma esistono anche per loro,” ha spiegato.

Olimpiadi: l'atleta afgana Kimia Yousofi dà un messaggio sulle condizioni delle donne in Afghanistan
Olimpiadi: l’atleta afgana Kimia Yousofi dà un messaggio sulle condizioni delle donne in Afghanistan – https://www.instagram.com/kimiaa_yousofi/ – Sardegnaoggi.it

 

Kimia Yousofi, scappata in Iran durante l’estate del 2021 quando i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, ora vive in Australia con la sua famiglia. Avrebbe potuto unirsi alla squadra dei rifugiati, ma ha scelto di rappresentare l’Afghanistan: “Sento una responsabilità verso le ragazze afghane perché non possono parlare. Non possono fare nulla, devono restare in silenzio. Non sono una politica, ma posso essere la loro voce. Molti nel CIO e nel Comitato Olimpico afghano stanno cercando di mantenere alta questa bandiera. Anch’io, nel mio piccolo. Questa è la mia cultura, il mio Paese, la mia terra. I terroristi l’hanno presa con la forza, ma nessuno in Afghanistan riconosce il loro governo”. Nei 100 metri è arrivata ultima, ma a volte ciò che conta davvero è partecipare.

Educazione, sport e i nostri diritti: questi concetti sono rivolti alle donne in Afghanistan che, da quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021, stanno subendo gravi conseguenze. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2023 ha dichiarato l’Afghanistan il Paese più repressivo al mondo per le donne, private di ogni diritto fondamentale.

“Mi sento responsabile per le ragazze afghane perché non possono parlare – ha dichiarato Yousofi dopo la gara – Non sono una persona politica, ma faccio ciò che ritengo giusto. Posso parlare con i media e essere la voce delle ragazze afghane, esprimendo il loro desiderio di diritti fondamentali, istruzione e sport. Non mollate. Non lasciate che siano altri a decidere per voi. Cercate le vostre opportunità, e poi usatele”.

Le parole di Kimia Yousofi – rivolte non solo alle donne afghane, ma a tutte le donne i cui diritti vengono calpestati in ogni parte del mondo – sono arrivate venerdì 2 agosto, in occasione dei “round preliminari” della gara dei 100 metri femminili.

Questa gara è destinata alle atlete e agli atleti dei paesi più piccoli o più poveri, incapaci di sostenere le attività agonistiche dei propri talenti sportivi. I “round preliminari”, che spettano di diritto a ogni paese, permettono al Comitato Olimpico di ampliare la partecipazione, tanto che queste qualifiche sono anche definite “Olimpiadi parallele”.

Solo attraverso questa gara Yousofi è riuscita a protestare esplicitamente contro l’oppressione delle donne portata avanti dal regime talebano in Afghanistan. Non è un caso che i talebani non volessero che lei fosse lì.